La categoria del danno non patrimoniale ricomprende diverse voci che il giudicante deve tenere in considerazione quando è chiamato a determinare il quantum risarcitorio per il soggetto leso: l’obiettivo, quindi, è di valutare -oltre al danno alla salute e alla sofferenza interiore da questo originatasi- pure gli aspetti relazionali pregiudicati in conseguenza del sinistro.
Le Sezioni Unite del 2008 (Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972), in particolare, specificano che tutti i danni patiti devono essere risarciti: tra questi, rientra –appunto- il c.d. danno esistenziale, da intendersi come il radicale cambiamento di vita e/o l’alterazione della personalità del soggetto danneggiato oppure lo sconvolgimento dell’esistenza. Tali conseguenze dannose non possono essere assimilate al comune danno morale: quest’ultimo è qualificato come il patema d’animo e la sofferenza psichica interiore patita dal danneggiato e, normalmente, viene fatto rientrare nella liquidazione prevista dalle tabelle per il danno biologico.
Il danno esistenziale si differenzia dalla sofferenza morale nel momento in cui il soggetto leso lamenta (e prova) non solo la sofferenza interiore ma anche un notevole cambiamento (in peggio) della propria vita.
In pratica, il giudice che è chiamato a liquidare le voci di danno non patrimoniale deve fare esplicito riferimento al tipo di pregiudizi a cui ha deciso di attribuire un ristoro economico e, in particolare, deve specificare gli aspetti relazionali dell’individuo che ritiene alterati: ciò al fine di chiarire se ha preso in considerazione anche il danno esistenziale (che, come precisato, non può ritenersi assorbito dal danno morale).
La sentenza qui in commento –pronunciata dalla Terza Sezione Civile della Cassazione (sentenza del 22/09/2015 n. 18611)- esamina il tema del danno esistenziale in relazione al mancato riconoscimento del predetto danno da parte dei giudici della Corte d’Appello.
La sentenza chiarisce che, se si vuole garantire un ristoro comprensivo anche degli aspetti interrelazionali del pregiudizio, il ricorso alla mera valutazione tabellare è del tutto incongruo.
Maggiorare il punto base dunque, secondo la Suprema Corte, non è sufficiente, laddove si tratti di considerare la perdita delle qualità della vita della vittima di gravissime lesioni personali: tale vittima “vive solo attingendo alla solidarietà dei suoi cari, degli amici, dei volontari, che certamente possono dare un aiuto alla sopravvivenza, ma non già rimuovere la perdita di quelle qualità personali e di partecipazione che sono chiaramente descritte nell’art. 3 della Costituzione repubblicana”.
Risarcire il danno esistenziale quale voce autonoma quindi non solo non significa duplicare le voci di ristoro e le poste risarcitorie ma, al contrario, permette di riconoscere il diritto del macroleso a ricevere un equo ristoro per la perdita della sua dignità di persona e del proprio diritto ad una vita attiva.
Va evidenziato come la Cassazione -proprio nel 2015- fosse tornata, con due apposite sentenze, a fornire precisazioni e chiarimenti dettagliati circa la corretta interpretazione da attribuire ai principi stabiliti dalle richiamate sentenze del 2008.
E ciò proprio al fine di scongiurare il rischio che il danno non patrimoniale venga liquidato non nella sua integralità e completezza, determinando così un vero e proprio “vuoto risarcitorio”.
Le pronunce in argomento, entrambe dalla Terza Sezione Civile, sono la n. 9320/2015 e la n.12594/2015.
Gli ermellini hanno evidenziato che -ai sensi dell’art. 1223 C.c.- la liquidazione del danno deve avere riguardo alla perdita subita dal danneggiato, perdita che non va identificata con il diritto leso, bensì con la conseguenza della lesione.
Secondo la Suprema Corte, il danno risarcibile è rappresentato dalla perdita causata dalla lesione di un interesse giuridicamente protetto: il danno, dunque, non può mai consistere nella mera lesione del diritto in sé e per sé considerata, ma deve provocare un concreto pregiudizio.
Perciò, come la lesione di interessi diversi può provocare un pregiudizio unitario così la lesione di un solo interesse può provocare pregiudizi diversi.
Dunque, il giudice che è chiamato a liquidare il danno da fatto illecito, deve avere riguardo all’individuazione dell’interesse protetto che si assume violato, alla perdita subita dal danneggiato (patrimoniale e non) e alla quantificazione del valore perduto.
Non deve, pertanto, essere fraintesa la nozione di “unitarietà del danno non patrimoniale”, per come affermata dalle sentenze n. 26972 e ss. del 2008.
Spiega la sentenza: se è vero che le richiamate sentenze di San Martino hanno affermato l’unitarietà del danno non patrimoniale, è altrettanto vero che la predetta nozione di unitarietà significa che lo stesso danno non può essere liquidato due volte solo perché chiamato con nomi diversi, ma non significa -tuttavia- che quando l’illecito produce perdite non patrimoniali eterogenee, la liquidazione dell’una assorba tutte le altre.
Anche la sentenza n. 12594/2015 tratta il “principio di integralità del risarcimento del danno” perché i giudici di secondo grado hanno ritenuto non dovuto il “danno alla vita di relazione ed esistenziale”.
La Corte di Cassazione afferma, ancora una volta, che si impone la liquidazione del danno esistenziale, in forza del principio dell’integralità del risarcimento di cui agli artt. 1223, 2059 e 2054 c.c., ribadito dalle suddette sentenze di San Martino del 2008.
Il principio di diritto formulato dalla Cassazione presuppone che per aversi il risarcimento del danno da fatto illecito sia stato leso un interesse della vittima, che da tale lesione sia derivata una “perdita” concreta, ai sensi dell’art. 1223 c.c., e che tale perdita sia consistita nella diminuzione di valore di un bene e/o interesse. Pertanto quando la suddetta perdita incida su beni oggettivamente diversi, anche non patrimoniali, come il vincolo parentale e la validità psicofisica, il giudice è tenuto a liquidare separatamente i due pregiudizi, senza che a ciò osti il principio di omnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, il quale ha lo scopo di evitare le duplicazioni risarcitorie, inconcepibili nel caso in cui il danno abbia inciso su beni oggettivamente differenti”.
Legal Team Sanasanitas